Genogramma: un ponte tra
passato, presente e futuro
La pratica del genogramma è ormai da decenni utilizzato quale
“ponte” affettivo tra passato e presente e quale veicolo di
ridecisione per il futuro.
Da sempre l’Uomo ha amato rappresentare graficamente la propria
genealogia con la forma dell’albero.
La rappresentazione con l’albero genealogico ha la funzione di rispolverare
e valorizzare le proprie radici familiari, una modalità per “sentirsi
appartenente”, per identificarsi e definire se stessi in quanto
parte e prodotto di un albero con radici ben salde nella storia.
L’albero genealogico è solo rappresentazione grafica oggettiva;
esso è strumento per l’esplicitazione del soggettivo che
avviene, invece, con il genogramma.
Mi riferisco agli aspetti irrazionali delle persone e dei rapporti tra
di esse e di come questi hanno colorato la genealogia che ognuno, nel
proprio immaginario, si porta dentro.
Il genogramma aiuta la persona a rendersi conto di miti, segreti, ruoli,
credenze, del clima (caldo/freddo) di determinati “rami” della
stirpe e di quanto essi hanno influito sulla percezione che la persona
ha di sé.
Tale lavoro ha un obiettivo che investe sul futuro: prendere coscienza
della percezione che si ha della propria storia familiare per “ridecidere”
sul proprio “essere al mondo” attraverso una selezione di
risorse da portare e di bagagli o copioni da lasciare per strada.
Nel lavoro con il Genogramma vi sono elementi che possono essere colti
ed eventualmente esplorati.
Primo fra tutti il mito (o miti) familiari.
Il significato originale di mithos1 si riferisce a “leggenda,
favola, storia”; esso obbedisce alla funzione di proteggere e rassicurare
gli elementi di un gruppo sociale. Il mito si offre dunque come struttura
valoriale, sostegno e validazione per i comportamenti in quanto è
qualcosa che è già della storia della famiglia e su cui
si struttura l’identità del singolo e del gruppo.
Vanno colte le regole che la famiglia ha tramandato, cioè quell’insieme
vasto di norme che la famiglia si è data e che risente delle vicissitudini
e della cultura di appartenenza.
Se vengono infrante delle regole allora la famiglia può deciderne
di farne segreto. Esso è dunque una “zona d’ombra”
fatta di vicissitudini, accadimenti su cui la famiglia ha deciso di stendere
il silenzio.
Alcune volte il segreto copre avvenimenti che potrebbero benissimo essere
rivelati ma che ormai si sono strutturati nella memoria e nell’oblio.
Prendere consapevolezza del segreto può significare confrontarsi
con una visione della realtà che può essere diversa dal
messaggio contenuto nel segreto e che può aiutare a prendere in
considerazione altri aspetti di sé.
E’ interessante far caso ai ruoli incarnati nel sistema familiare:
oltre al ruolo anagrafico (figlio, fratello, ecc.) e a quello individuale
(quello che una persona scegli di interpretare) vi è quello “relazionale”2 che secondo Montavano-Pazzagli è quello che il sistema familiare
assegna al membro e che “dipende dalla dinamica dei rapporti e dall’evoluzione
dei rapporti stessi nell’ambito del sistema” per cui un figlio
può anagraficamente rivestire tale ruolo ma, se il padre diviene
assente o muore, potrebbe anche assumere il ruolo relazionale del padre
(per gli altri fratelli) o del marito per la madre.
L’unità del sistema viene assicurata dalla “bandiera”3 cioè l’insieme dei valori nei quali il sistema familiare
si riconosce e che può essere rappresentato anche graficamente;
un po’ come i vecchi simboli che le famiglie di alto casato apponevano
sul proprio palazzo. La bandiera è dunque forza coesiva per il
gruppo e, allo stesso tempo, rappresentazione per il mondo esterno.
Altro elemento da sviluppare è l’esistenza della “valigia”
che rappresenta le risorse (valori, miti, stili, ecc.) che portiamo via
dalla famiglia di origine e che creativamente possiamo utilizzare nella
nostra vita. Le valigie possono contenere oggetti che simbolicamente rappresentano
le risorse familiari.
Non si lavora su una realtà oggettiva della storia familiare ma
sulla percezione che ognuno ha di essa.
In tal senso, non sarebbe insolito che due fratelli che fanno una seduta
di genogramma si rendano conto di situazioni “diverse” pur
appartenendo alla stessa famiglia.
Dato, dunque, un accadimento oggettivo (ad es. l’incidente avvenuto
quell’anno a quella persona) definito come fenomeno primario è
quello che esso fa in termini emozionali, cioè il fenomeno secondario
(che ricordi di quell’incidente? cosa provi? Cosa pensi?) ad essere
materia di lavoro.
Il lavoro sul genogramma si basa sulla presa di consapevolezza della persona
delle proprie radici familiari e, soprattutto, di quello che essa percepisce
di tali radici.
La metodologia è quella della relazione d’aiuto in cui il
terapeuta facilita nella persona una presa di consapevolezza attraverso
domande chiarificatrici, rimandi, riformulazioni, sensazioni, impressioni
che l’utente può far proprie e che possono guidarlo nell’esplorazione.
Il genogramma può essere attuato in gruppo, in un setting
individuale, in un setting familiare o di coppia.
Vuoi fare il tuo Genogramma? Puoi contattarci...
Note:
1 - S. Montavano, A. Pazzagli, Il Genogramma, FrancoAngeli, Milano, 2002
2 - ibidem
3 - S. Montavano, “Le drapeau et le puvoir «, in Therapie
familiale, 1985
Bibliografia
S. Montavano, A. Pazzagli, Il Genogramma, FrancoAngeli, Milano, 2002
S. Montavano, “Le drapeau et le puvoir «, in Therapie familiale,
1985
|